domenica 12 giugno 2016

Clemente - Canzoni nel cassetto

















Sono ben quattro gli anni che separano questo "Canzoni nel cassetto" dal precedente "Davvero". Antonio Clemente torna quindi dopo una lunga pausa con un disco che esce per la sempre attenta Controrecords di Davide Tosches. L' album in questione raccoglie alcune tra le prime canzoni dell' autore nato e cresciuto a Trapani e ora di stanza a Genova. 13 brani (più una ghost track) custoditi da tempo, che ora vedono la luce per comporre un disco che, a detta dell' autore, è prima di tutto un album di riconciliazione con le sue origini siciliane. Ad accompagnare Antonio c'è un gruppo di tutto rispetto composto Fabrizio Zingaro (pianoforte, synth, percussioni, basso), Manuel Perasso (pianoforte, synth, diamonica, chitarra elettrica), Maria Teresa Clemente e Alice Nappi (violino) Paolo Magnani (armonica, chitarra acustica), Andrea Carozzo (fisarmonica), Luca Falomi (chitarra acustica ed elettrica) e Talitha Knight (cori). La ricetta è ben collaudata: canzoni essenziali, ricamate da un lirismo intimo e una ricerca melodica che spazia tra pop, folk e la più classica canzone d'autore italiana. Raffinato ed elegante ad ogni passaggio, questo secondo lavoro ci piazza davanti una manciata di canzoni limpide, sincere, che hanno il potere di aggrapparsi al cuore al primo ascolto. C'è poi un aria nostalgica che regola l' intero disco. L' essenziale, Piccole emozioni, Alla difesa dei sogni, Non è un gioco, La libertà sono tra le cose migliori di un lavoro ispirato. Registrato tra Sicilia e Liguria, "Canzoni nel cassetto" è un disco che funziona dall' inizio alla fine.

Intimo 7.2

mercoledì 20 aprile 2016

Russo Amorale - s/t EP


















Ugo Russo, questo il il nome all' anagrafe, si affaccia al mondo della musica italiana con un EP autoprodotto, che esce per la New Model Label e registrato tra Lione, Nancy e Bologna. Ugo nasce nel febbraio del 1991 a Nancy, piccolo borgo della Lorena. Figlio di genitori italo-francesi, Russo ci schiaffa davanti un disco breve che mette in chiaro una cosa: il ragazzo è bravo; bravo davvero. Siamo su quella linea di confine che unisce il folk rock e il blues al più classico cantautorato italiano. Cinque canzoni, tra cui le ultime due in unplugged. C'è da farsi prendere dallo stupore quando attacca il primo brano: L' emergenza di emergere, pezzo magnifico nel suo incedere. Un brano potente, che entra di diritto tra le cose italiane più belle ascoltate quest'anno. C'è poi Fossato 41 che ci accompagna tra le vie di Bologna con un folk rock che sul finire si trasforma in un gospel disperato; Torrione 10 è ancora una volta brano potente, nervoso, tenuto in piedi da un basso pulsante. Arrivano poi i due pezzi acustici: Le cose (che ti fanno prendere male) e Galileo (unico brano in inglese), entrambi registrati in presa diretta e senza sovra-incisioni. Un esordio abbastanza convincente che speriamo maturi presto in un primo album.

Buona la prima | 7




venerdì 8 aprile 2016

Andrew Bird - Are You Serious


















Chiedetemi di stilare una classifica dei più bravi cantautori contemporanei e il nome di Andrew Bird figurerebbe almeno tra i primi cinque. Il fatto è che il ragazzo praticamente raramente ha sbagliato un disco. Qualche punto debole lo mostrava forse "Things Are Really Great Here, Sort Of..." con le riletture di brani degli Handsome Family. Lo avevamo lasciato pochi mesi fa alle prese con lo strumentale "Echolocations: Canyon" e lo ritroviamo oggi a fare ciò che gli riesce meglio: scrivere piccoli gioielli pop. E la partenza di Capsized  conferma quanto appena detto. "Are You Serious" è la decima tappa nella ormai imperdibile discografia dell' autore americano, e si guadagna fin da subito un posto nel cuore e nella testa presentandosi in due diverse versioni deluxe; la prima con in aggiunta un 7 pollici e l' altra un EP di inediti accompagnati da più un libretto di 64 pagine con l' artwork di ogni traccia in scaletta. Se poi aggiungiamo che il disco è praticamente bellissimo dall' inizio alla fine e si impreziosisce anche della collaborazione di Fiona Apple (Left-Handed Kisses), il risultato che avremo è quello di un prodotto imperdibile. Folk ricamato su tessuti pop. Non mancano momenti delicati, sfumature world, virtuosismi e spunti inaspettati. Una scrittura fresca e sempre attenta, guidata da una strumentazione brillante, associata a una produzione impeccabile, fanno di questo decimo album uno dei lavori meglio riusciti dell' intera avventura. Se la giocano canzoni strabilianti come Roma Fade, Puma, Are You Serious, Saints Preservus, The New Saint Jude. 

Formidabile | 8





venerdì 1 aprile 2016

Emily Sporting Club - Emily Sporting Club

Sul sito della band leggerete: «Era una sera d'estate del 2013. Quattro musicisti, ognuno con le proprie esperienze dopo uno spettacolo nell'afosa campagna reggiana.
...E così si parlava, davanti a qualche bicchiere di vino, delle esigenze fondamentali dell'essere umano: mangiare, respirare, ascoltare musica."Ascoltare", non "sentire", perché vedevamo una differenza enorme tra intrattenimento e comunicazione, tra la lallazione e la comunicazione. E, pensavamo, non è necessario adottare un genere elitario per esprimere un concetto: anche un suono pop, rock, elettronico può convogliare bene un messaggio. Qualche mese dopo, questa idea era cresciuta (a prova della nostra convinzione) e si era trasformata in una band. Abbiamo pensato di iniziare "frequentando" i luoghi e le situazioni di un autore a noi molto caro: Pier Vittorio Tondelli.» A quest'ultimo la band emiliana dedica il suo esordio, pubblicato sulla sempre attenta New Model Label. Gli Emily Sporting Club sono: Nicola Pulvirenti (voce e testi) Silvio Valli (chitarre) Alfredo de Vincentiis (batteria ed elettronica), Elisa Minari (basso). Con un bagaglio alle spalle fatto di ingaggi, collaborazioni e progetti indipendenti, i quattro intraprendono oggi un nuovo viaggio, personale, più maturo, con sonorità svariate che vanno dal post punk alla new wave, non tralasciando certe sfumature prog. Attorno alla figura di Tondelli e del suo "Altri Libertini", la band costruisce una sequenza di brani dal linguaggio preciso. Ma sia chiaro: non si tratta di una riduzione in musica dell' opera, bensì dell' unione di energie, idee, sensazioni, spunti personali che si uniscono a citazioni e testi. Ne viene fuori un disco vigoroso, eclettico. Un' ottima partenza col rock minaccioso di Postoristoro e Emily Sporting Club per poi passare a una potentissima Piedi inversi. L' elettronica di Boy è un piccolo passo falso. Del lavoro si impreziosisce della voce narrante di Gabriele Tesauri ma non convince a pieno. Poi attacca Hangover e tutto torna a brillare. Le folate prog di 2Mars lasciano spazio ad un' energica e incessante Autobahn e una strepitosa Più di così (non se ne può), con  in primo piano le parole taglienti di Pier Vittorio Tondelli  narrate dalla voce Gabriele Tesauri. C'è molta ambizione e qualcosa da calibrare meglio. Ma tutto sommato siamo di fronte a un disco ispirato e maturo quanto basta.

Pungente | 7

lunedì 21 marzo 2016

The Body - No One Deserves Happines


















È bene avvicinarsi alla musica dei Body con estrema cautela. Almeno questo è il primo consiglio che mi sento di darvi. Il secondo è: alzate il volume più che potete. L' abilità nel cambiare pelle è ormai una prerogativa importante per il duo di Providence. A distanza di tre anni dal precedente "Christs, Redeemers" e a pochi mesi dall' album omonimo collaborativo "The Body & Krieg", i due di Portland si affidano ad una ricerca sonora fatta di un' elettronica ricca di suggestioni laceranti. Quello che ne consegue è un suono totale, capace di mutare in ondate spasmodiche di assoluta potenza. Prendete ad esempio la calma apparente dell' iniziale Wanderings, che da un momento all' altro dà sfogo a scosse telluriche incontrollabili. Oppure alle percussioni tribali di Shelter Is Illusory  su cui si frantumano chitarre abissali e la splendida voce di Maralie Armstrong. Voce che impreziosisce anche i ritmi alieni di Adamah e il pianoforte spettrale della title track. Maestoso nel suo incedere, "No One Deserves Happines" esplode secondo criteri che mai perdono di vista le radici dei due musicisti americani. Doom metal ricoperto da tonnellate di materiale tossico pronto a deflagrare in vortici dalla dimensione epica. Sempre mantenendo una lentezza inesorabile. 10 le composizioni messe in campo questa volta. Chitarre, batterie, fiati, beat, pianoforti e pulsazioni raggelanti si deformano e si dilatano plasmando un suono ipnotico, imprevedibile, feroce. La voce di Maralie Armstrong gioca un ruolo fondamentale e rende il lavoro ancor più incredibile. In assoluto il disco più accessibile pubblicato finora. E non è certo un difetto.

Assordante | 7.8



mercoledì 16 marzo 2016

The Madcaps - Hot Sauce


















La Howlin Banana Records è un' etichetta parigina che sforna talenti uno dietro l' altro. I Madcaps sono senza alcun dubbio tra le cose migliori venute fuori negli ultimi tempi. E poi: ci danno dentro che è una bellezza. Oggi giungono al secondo LP. L' inizio con Something You Got. Arrivano poi in sequenza: Too Big For Your Boots, Taco Truck e i dubbi - se mai ce ne fossero stati - vengono spazzati via in pochi attimi. Il resto e nelle mani delle accelerazioni di Crack Me Up e Upside Down, nelle schegge melodiche in stile Beatles di Rainy Day, nelle chitarre corrosive di One More Chance e Boob Shang e nelle venature psichedeliche di Junkie Queen. I francesi dimostrano di saper maneggiare garage e pop come pochi sanno fare. Per l' occasione sfoderano l' intero  arsenale a loro disposizione. La questione è semplice: "Hot Sauce" è un lavoro riuscitissimo, di quelli che ci porteremo dietro fino alla prossima estate. Un suono di prima qualità. Un approccio spensierato. Tutto gira nel modo migliore possibile. La certezza è racchiusa in brani praticamente irresistibili, forti di melodie sempre indovinate e impennate improvvise; ritmi incessanti regolati con fiati, chitarre in primo piano, bassi corposi e stacchi precisi. Un disco suonato col sorriso stampato sulle labbra e il cuore puntato verso il sole della California. Il divertimento è assicurato.  

Esplosivo | 8

martedì 8 marzo 2016

Matt Elliott - The Calm Before

L' unico difetto che si potrebbe attribuire ai suoi dischi, è che a un certo punto terminano. Ancora Matt Elliott. Ancora un grande album. Ancora il cuore che va in frantumi. A tre anni di distanza da "Only Myocardial Infarction Can Break Your Heart", lavoro che fin dal titolo delineava uno scenario meno oscuro rispetto alle opere precedenti, il cantautore di Bristol imbraccia nuovamente la chitarra e torna a imprimere sul pentagramma note di struggente impatto. "The Calm Before si riferisce naturalmente all’ espressione “the calm before the storm” (la quiete dopo la tempesta). La canzone in sé parla di quei momenti della vita sconvolti da una tempesta, sia essa una circostanza, una persona o un mix di sensazioni, turbolenze, problemi che si trascinano, ma una tempesta porta anche qualcos’ altro con sé, pulisce e rischiara l’aria e può spingerti verso nuove situazioni". Una dichiarazione d' intenti, così potremmo interpretare queste parole, che servono fin da subito a chiarire una cosa: "The Calm Before" è un disco commovente, ricco di sfumature e fatto anche di luce. Ma si tratta pur sempre di una luce flebile, filtrata da quelle nuvole che aleggiano in copertina. Nuvole padroneggiate dal vento; quel vento che soffia in A Beginning, nella title track e che ritroviamo poi nel finale di The Allegory of the Cave. Al suo settimo appuntamento, Matt Elliott si presenta più ispirato che mai. Ma non solo: decide anche questa volta di puntare tutto su virtuosismi sonori influenzati da una certa musica dei paesi europei e mediterranei; ma anche ad armonie vicine alla musica neo classica (vedi la seconda parte di Calm Before e il finale di I Only Wanted to Give You Everything The Allegory of the Cave). Ci si ritrova di fronte a tempeste sonore governate da melodie struggenti volte a formare un paesaggio malinconico di brulicante splendore. Abilità e fragilità si intrecciano formando un memorabile affresco composto da canzoni pronte a deformarsi e a dilatarsi alla ricerca di soluzioni originali e combinazioni incantevoli. Il tutto ha però un respiro diverso rispetto al passato. E in tal senso gli archi e il pianoforte giocano un ruolo fondamentale. "The Calm Before" è un album sincero, passionale. Un diluvio di magnificenza da far tremare le vene. L' ennesimo tassello di una discografia di estrema importanza. Ascoltarlo senza che i brividi prendano il sopravvento è quasi impossibile. Da custodire come un tesoro.

Drammatica bellezza | 9

giovedì 25 febbraio 2016

Damien Jurado - Visions Of Us On The Land


















Al quarto lavoro insieme Damien Jurado e Richard Swift non perdono colpi e pubblicano l'ennesimo grande album. "Visions of Us On The Land" è il terzo ed ultimo capitolo di una trilogia iniziata con "Maraqopa" e proseguita con "Brothers and Sisters of the Eternal Son". Ma è soprattutto un disco importante, intenso, che porta a compimento una ricerca sonora iniziata nel 2010 con "Saint Bartlett", il primo dei quattro lavori con Swift in cabina di regia. Siamo di fronte a quella che ad oggi risulta essere l' opera più complessa di Jurado da sei anni a questa parte. Protagonista del disco è ancora una volta il viaggio intrapreso da un uomo alla ricerca di se stesso. 17 brani in scaletta per poco più di 52 minuti di musica. Si spazia tra un folk onirico arricchito di spasmi psichedelici, fuzz cangianti e momenti per lo più acustici. Il tutto immerso in un riverbero liquido, funzionale. Canzoni che percorrono traiettorie siderali, sapientemente costruite e sempre ispirate. Una ricerca melodica fatta di squarci rarefatti e soluzioni esemplari. Si pensi alla tensione vertiginosa di November 20, alle suggestioni latine di Mellow Blue Polka Dot, QACHINA e Lon Bella, al pop mistico di ONALASKA, ai sussulti elettronici di Sam & Devy, alla versatilità di TAQOMA, al suono totale di Exit 353, alla delicatezza di brani come Prisms, Queen Anne e Kola. Meno omogeneo ma più audace dal punto di vista sonoro rispetto al precedente,"Visions of Us On The Land" splende per tutta la sua durata e si espande combinando in modo originale strumenti elettronici e acustici. Non vi è motivo alcuno per non inserire il nome di Jurado tra i grandi cantautori della nostra epoca. Almeno io non riesco a trovarne nemmeno uno. 

Brillante | 8.4


lunedì 22 febbraio 2016

Motorpsycho - Here Be Monsters


















Quella dei Motorpsycho è un' avventura nata sul finire degli anni '80. Un primo disco nel 1991 e poi una lunga sfilza di pubblicazioni che messe insieme compongo uno strabiliante mosaico sonoro. Oggi i norvegesi ci piazzano davanti ancora una volta un rock di spessore, fatto di divagazioni prog, ossature blues e slanci psichedelici. Un suono sontuoso, costruito su architetture precise e con un' impronta a tratti differente dal precedente lavoro. In tal senso il pianoforte di Sleepwalking chiarisce fin da subito le cose. Fanno soprattutto la differenza le tastiere di Thomas Henriksen, che per l' occasione si affianca a i tre anche in veste di produttore. Fuori le chitarre di Reine Fiske che impreziosivano "Behind The Sun", quindi. Il risultato è un caleidoscopio capace di rievocare ora i Pink Floyd di "Dark Side of the Moon" (Lacuna/Sunrise), ora i Genesis di "A Trick of the Tail" (Running With Scissors). Non mancano certe sfuriate di grande potenza (I.M.S.) e immersioni nei meandri del folk spichedelico con un brano scritto dal grande Terry Callier e portato al successo dagli H.P. Lovecraft (Spin, Spin, Spin). Il finale è affidato a Big Black Dog, poco più di 17 minuti a metà strada tra i vocalizzi a-là Crosby, Stills & Nash e un heavy psych al rallentatore pregno di drammatica inquietudine. "Here Be Monsters" è l' ennesimo centro pieno. La loro grande forza sta nel rinnovarsi sempre e comunque mantenendo un livello altissimo. E non è cosa da poco.

Torrenziale | 8



venerdì 19 febbraio 2016

Sin Ropas - Mirror Bride


















I Sin Ropas arrivano da Marshall, North Carolina, e sono Tim Hurley (Red Red Meat) e Danni Iosello (Califone, Errs), compagni sul palco come nella vita. Attivi sul campo da più di dieci anni ma ancora oggi poco celebrati, giungono ora al loro quinto sigillo. Sono passati sei anni dal precedente lavoro, eppure i due sembrano avere ancora idee ed energie da vendere. "Mirror Bride" mette in scena una manciata di canzoni che fin da subito si attaccano alla pelle. Siamo dalle parti dei Low, ma con chitarre più acide e sporche. Dall' inizio struggente di Save Me a Place, passando per il folk rock in distorsione di Crows; dalla malinconia sghemba di  Brush for This alla psichedelia tribale di Silver Brow; dagli echi canterburyani di Summer Bag alle melodie vaporose di Broken Beaches. Ci sono poi il blues arcaico di Mirror Bride e la dolente Tourniquet. Il tutto forte di una produzione curata nei minimi dettagli e di un' eleganza nella costruzione delle melodie che fanno di questo nuovo album l' ennesimo gioiello. C'è anche lo sguardo attento di Brian Deck già a fianco di Red Red Meat e Modest Mouse. Il risultato è un disco in grado di picchi di bellezza che esplodono ad un ascolto attento. Una intensa selezione sognante composta da brani delicati, dolenti, immersi tra atmosfere folk rock con divagazioni slow core e sussulti psichedelici qui e lì. L' unico difetto può essere riscontrato nella durata: poco più di mezz'ora, ma tutti di un livello davvero alto. Il disco verrà pubblicato insieme a un libro di racconti scritti dalla stessa Danni Iosello (edito dalla Errs Press). Da restarne estasiati fin da subito. Tra qualche giorno li troveremo anche in giro per l' italia.

Intenso | 7.6




martedì 16 febbraio 2016

Sea Pinks - Soft Days


















Dietro la voce e la chitarra dei Sea Pinks si nasconde Neil Brogan, già attivo coi più celebri Girls Names. Irlandesi con alle spalle già qualche uscita su cassetta e un primo album pubblicato sempre su CF Records, oggi i tre ci piazzano davanti un gustoso affresco sonoro fatto di power pop e garage di prima qualità. L' impressione è che questo disco ce lo porteremo dietro fino alla prossima estate. 11 brani da ascoltare tutti d'un fiato. Una partenza a razzo con  (I Don't Feel Like) Giving In. Arrivano poi una sequenza di brani ad alta velocità, tra soluzioni brillanti e una scrittura sempre accorta. Trend When You're Dead, Depth of Field, Everything in Sight e Soft Days costituiscono la parte migliore di un disco ottimo nel suo incedere energico ma pur sempre raffinato. Ci sono incursioni precise nei territori di un punk spensierato, di una psichedelia fatta di sprazzi shoegaze e di uno jingle jungle ben calibrato. A livello melodico tutto funziona alla perfezione. Ritmi impeccabili e basso sempre presente. Ma sono le chitarre a fare gran parte del lavoro. Ed è questo forse il punto di forza del disco. Aggiungete poi una dose di riverbero che accompagna l' intero disco. Fresco, pieno di energia positiva, "Soft Days" si lascia apprezzare fin da subito, forte di un suono particolarmente curato. Insomma, proprio un bel dischetto.

Fresco | 7.6

mercoledì 10 febbraio 2016

Anderson .Paak - Malibu


















In ambito R&B quest'anno difficilmente troveremo di meglio. Il secondo disco sulla lunga distanza è per Anderson .Paak una conferma assoluta, nonché tra le uscite migliori di questo inizio 2016. Il pupillo di Dr. Dre non delude le aspettative e sforna un album praticamente irresistibile per tutta la sua durata. Sedici brani in scaletta che spaziano tra soul, hip hop, funk. Tutto regolato da una classe e da un' eleganza sopraffina capace di offrire lampi di bellezza. Non mancano le svariate collaborazioni: BJ the Chicago Kid, ScHoolboy Q, Rapsody, The Free Nationals United Fellowship Choir, The Game and Sonyae Elise, Talib Kweli and Timan Family Choir. Prendetemi sulla parola quando affermo che diventa davvero difficile individuare un brano di punta. Sì, perché "Malibu" è una raccolta strepitosa di canzoni calate in un groove accattivante e suggestivo. Si tratta di un lavoro ottimo ed equilibrato, che non lascia spazio alla noia, contemporaneo e con rimandi al passato. Il giovane californiano ci mette anima e cuore e porta a compimento quello che si prospetta come uno dei dischi che ci ritroveremo nelle classifiche di fine anno. Un' ora di puro godimento. Splendida anche la copertina.

Eleganza  | 8




venerdì 22 gennaio 2016

Ty Segall - Emotional Mugger


















Detto tra noi, non vorrei essere nei panni di chi un giorno dovrà mettere su carta l'intera opera di Ty Segall con tanto di collaborazioni e quant'altro. Lo sappiamo bene: il ragazzo non riesce a starsene con le mani in mano. Neanche il tempo di concludere il nuovo album con i Fuzz che già è pronto il suo ottavo disco da solista. Insomma: una fertilità compositiva da far impallidire chiunque. "Emotional Mugger" è ancora una volta un lavoro riuscito. Bastano i primi 3 minuti scarsi di Squealer per capire quanto la musica del musicista americano stia man mano assumendo una forma precisa, in bilico tra garage, psichedelia, glam, pop e hard rock. Una centrifuga capace di risucchiare al suo interno influenze di vario genere per poi sputare fuori qualcosa di sempre diverso, potente e, volendo, anche ambizioso. Succede quindi che gli undici brani contenuti nel nuovo disco siano tra le cose migliori e più folli prodotte finora da Ty. Un crescendo di melodie al servizio di chitarre al massimo della distorsione. California HillsEmotional Mugger/Leopard Priestess e Diversion sono regolate da un tasso di potenza capace di procurare energia ad un intero isolato. Ci sono poi le cantilene sbilenche di Mandy Cream e Squealer Two, il garage futurista di Candy Sam e un finale con The Magazine che proprio non ti aspetti. In definitiva: 38 minuti che reggono bene ad ogni passaggio.

Alieno | 7.8

Streaming


martedì 5 gennaio 2016

Franco Baggiani - Divergent Directions


















Di Franco Baggiani vi ho parlato più o meno dodici mesi fa, in occasione dell' uscita di "Memories Of Always", disco che se non avete ascoltato vi consiglio di recuperare assolutamente. Musicista sempre alla ricerca di nuove soluzioni, Baggiani è ormai un nome importante in ambito jazz; ma è soprattutto uno che non si ferma mai. Giacomo Downie (sax baritono), Michele Staino (basso), Alberto Rosadini (batteria) e Fabio Ferrini (percussioni) sono i 4 musicisti che accompagnano Franco Baggiani in questo nuovo capitolo. Ad un anno esatto dal precedente "Memories Of Always", il trombettista fiorentino torna in studio e realizza il suo quattordicesimo disco. Pubblicato sempre su Sound Records e registrato in presa diretta senza nessun intervento in studio, "Divergent Directions" è ancora una volta un lavoro fascinoso, ipnotico, forte di un suono cangiante. Rispetto al disco precedente si assiste ad una sorta di mutazione sonora. Il funk spaziale lascia spazio ad un free jazz di tipo tribale. La line up si riduce a cinque elementi. Il contrabbasso prende il posto del basso elettrico. Vengono esclusi sia la chitarra elettrica che un percussionista. E il risultato è qualcosa di introspettivo, seducente, che a detta dell' autore si avvicina ai quartetti di Ornette Coleman e un mix fra free jazz e una certa musica contemporanea del '900". L' improvvisazione resta il punto cardine dell' intera opera. Brani come Il labirinto, Una serie per tutti, Phunkness, Infinite Resource sono la migliore testimonianza possibile. "Divergent Directions" si muove su equilibri sottili ed è per certi versi un lavoro ambizioso, che si aggiunge ad una discografia di tutto rispetto. Un patrimonio tutto italiano.

Peculiare | 7.3

Streaming del disco



martedì 15 dicembre 2015

Il meglio del 2015

Ne abbiamo già parlato più volte: odio le classifiche. E non poco. Quella di creare una lista di fine anno è però un' operazione che affronto con molto piacere, soprattutto perché è sempre una buona occasione per poter recuperare ciò che ci è sfuggito. Anche quest'anno è stato stupefacente, almeno in termini musicali. Quella che trovate sotto è semplicemente la lista di alcuni dei miei album preferiti di questo 2015. Tutto rigorosamente in ordine alfabetico per autore. Sotto segue una raccolta di brani in ordine casuale, a cui allego una compilation di canzoni selezionate da youtube. Se vi va, lasciate pure la vostra lista nei commenti. Insomma, buona lettura e buon ascolto. 
E buona musica.


 Algiers - Algiers
L’irruenza del post punk, il fascino oscuro del blues, la sensualità del soul, la capacità evocativa del gospel, la potenza di certa musica tribale. Aggiungete, poi, una forte componente politica (il nome fa riferimento alla guerra d’indipendenza algerina) e il gioco è fatto. Il tutto nasce quando Ryan Mahan e Lee Tesche, due musicisti della scena post punk, incrociano sulla loro strada Franklin James Fisher, un cantante di colore cresciuto praticamente a pane e gospel. Ciò che ne viene fuori è una fusione brutale, che sa di dolore. Birthday Party, Bad Seeds, New Order, Tv on the Radio, Angela Davis, Suicide, Public Enemy, sono tutti invitati alla cerimonia messa in scena dai tre musicisti. Il risultato è un disco magnetico, glorioso.
Sensazionale | 8


Courtney Barnett - Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit
Courtney Barnet ha 27 anni, arriva dall'  Australia e si pone di prepotenza come uno dei personaggi dell' anno. La questione gira tutta intorno a canzoni semplici e irresistibili, molte delle quali si presentano sotto forma di racconti autobiografici. Pop abrasivo e brillante, fatto di sfuriate fuzz e un certo approccio lo-fi. Dalla partenza spedita di Elevator Operator al power pop di Pedestrian At Best, passando per la sensuale An Illustration of Loneliness, il blues spaziale di Small Poppies, il glam rock micidiale di Aqua Profunda! e tante altre cose bellissime come Nobody Really Cares If You Dont e Kim's Caravan. Courtney disegna il suo mondo sul pentagramma. E il risultato è un disco da cui si fa fatica a staccarsi. Per non parlare poi della versione deluxe. Trovarci qualcosa fuori posto è praticamente impossibile. 
Crea dipendenza | 8.2


Andrew Combs - All These Dreams
Un primo EP nel 2010, seguito a distanza di due anni da un primo vero album. Ora, giunto al terzo appuntamento, il giovane di Nashville mette tutte le carte in tavola. Siamo di fronte ad uno di quei dischi belli proprio perché semplici, efficaci, composto da 11 canzoni capaci di conquistare al primo ascolto. Brani ricamati di dolcezza e malinconia. Combs ci mette il cuore, piazzando una serie di ballate passionali e avvolgenti, e si fa apprezzare per una scrittura cristallina e sempre accorta. Quasi non sbaglia nulla il giovane texano: Rainy Day Song, Nothing to Lose, Foolin, Pearl, All These Dreams, Month of Bad Habits sono praticamente irresistibili. Andrew ha confezionato un disco bello dall’ inizio alla fine.
Limpido | 8


Father John Misty - I Love You, Honeybear
Una voce malinconica, profonda. Una cura per gli arrangiamenti meticolosa, attenta. Johs Tillman è tornato finalmente col suo secondo album a nome Father John Misty. “I Love You, Honeybear” è l' opera di un autore maturo, consapevole delle proprie energie. Le composizioni sono sempre brillanti, con aperture melodiche incantevoli; canzoni che stanno a metà strada tra il John Grant di “Queen Of Denmark” e il Johnathan Wilson di “Fanfare”. “I Love You Honeybear” mette in evidenza una sensibilità pop mescolata a un folk intimista. C’è poi un pizzico di gospel sparso qua e là. Una scrittura attenta e struggente, quella di Tillman, capace di non risultare mai troppo smielata. L’ impressione è quella di trovarsi di fronte ad un album che ci porteremo dietro per anni.
Toccante | 8.5


Bill Fay - Who Is The Sender?
L' inizio è da pelle d'oca: The Geese Are Flying Westward manda in frantumi il cuore in pochi secondi. Segue War Machine, un brano tanto intenso da far mancare il fiato. Poi arriva How Little e lo stomaco si contrae dal dolore. È chiaro che quello che ci troviamo davanti non è un semplice disco, ma un vero inno alla bellezza; e Underneath The Sun ne è la piena conferma. È il pianoforte l' elemento su cui Bill tesse una trama di canzoni che parlano all' anima; brani che si attaccano alla pelle fin da subito. Avvolgente, intimo, "Who Is The Sender?", grazie ad arrangiamenti orchestrali efficaci e ambiziosi, si presenta come il lavoro più curato dell' artista londinese. 54 minuti di assoluto splendore per un disco su cui brilla l' insegna capolavoro.
Disarmante | 9


Robert Forster - Songs To Play
Lo avevamo lasciato con "The Evangelist", che giungeva nei negozi di dischi a poco tempo di distanza dalla scomparsa dell' amico di avventure Grant McLennan. Nei sette anni che separano i due lavori, Forster ha scritto libri e si è occupato persino di critica musicale. Una volta tornato a vivere nel Queensland, riprende in mano la chitarra per occuparsi di quello che gli riesce meglio: scrivere bellissime canzoni. In "Songs To Play" ne troviamo dieci, una meglio dell' altra. L' ex Go-Betweens non tradisce le aspettative e dà vita a un lavoro tanto bello da creare dipendenza, capace di incollare l' ascoltatore alla sedia grazie a una scrittura sagace, costituita da una brillante ossatura pop dal tiro micidiale.
Brillante | 8


Jacco Gardner - Hypnophobia
 Stando ai fatti, Jacco è ormai tra gli autori più importanti di questi ultimi anni. La conferma arriva da un disco praticamente bellissimo. In "Hypnophobia" convivono trasversalmente ancora una volta lo spirito malinconico di Nick Drake, quello psichedelico di Syd Barrett e quello dinamico dei Beatles. Tutto il disco è un flusso immagnifico di suggestioni sofisticate; un susseguirsi di armonie multiformi e ritmi che esplodono in mille colori. Quello di Gardner è un songwriting onirico, frizzante. È pop barocco distillato in una sequenza vorticosa di brani ricchi di arrangiamenti esemplari (tamburi, flauto, clarinetto, organo e clavicembalo, optigan, mellotron).  Da restarne stregati al primo ascolto.
Seducente | 8


Girls Names - Arms Around A Vision
 Se il primo album mostrava un suono più orientato verso un noise pop tagliente, il secondo lavoro vedeva la band impegnata nei territori di un post punk affabile, forte di alcuni momenti davvero convincenti. In "Arms Around a Vision" le atmosfere si tingono invece di una new wave spigolosa che non disdegna una tipica psichedelia di stampo shoegaze. E il risultato questa volta e da applausi. Brani come Retience, Oscilattions e Chrome Rose sono roba pregiata. A Hunger ArtistDysmorphia. Una scrittura che non rinuncia alla melodia, forte di ritmiche sostenute, bassi corposi, chitarre ben affilate e tastiere astratte. Ma ciò che davvero colpisce è la naturalezza con cui la band irlandese riesce nuovamente a cambiare pelle senza perdere colpi. 
Centro pieno | 8


Julia Holter - Have You In My Wilderness
Quelle di Julia Holter sono canzoni di cristallo forgiate da mani sapienti, forti di un linguaggio unico e personale. “Have You In My Wilderness” arriva a 3 anni di distanza dal disco precedente e si presenta in tutta la sua bellezza, vantando un suono tanto fragile che a tratti sembra scivolarci tra le mani. Quelle ritmiche quasi sempre abbozzate e quella sensazione di eterna leggerezza, si specchiano in arpeggi morbidi accomodati su tessuti astrali. Un lavoro articolato, fatto di arrangiamenti ariosi che vedono tra l' altro l' impiego di contrabbasso, clavicembali, sax e pianoforti. Il risultato è tutto un susseguirsi di brani che si muovono su equilibri sottili e melodie vaporose. Un oceano in calma apparente attraversato da folk, pop, jazz, elettronica.
Puro incanto | 8.5


Icarus Line - All Things Under Heaven
La musica degli Icarus Line è regolata da un tasso di violenza sonora capace di lasciare segni evidenti. Joe Cardamone spinge la band verso i territori del post hard-core. Il risultato è ancora una volta qualcosa al limite tra Grinderman, Stooges, Swans e una fiammata azzurra pronta a radere al suolo tutto ciò che incontra. Dodici bordate di elevata potenza per 72 minuti di coltellate che si conficcano dritte al cranio. Un agglomerato di chitarre come lame di rasoio, guidate da ritmi apocalittici dove non mancano alcuni innesti gospel, funk, dilatazioni blues e acrobazie noise che contribuiscono a creare un senso di tensione continua. Difficile indicare il momento migliore di un disco che viaggia come le più spericolate montagne russe.  
Vertigini | 8


Libertines - Anthems for Doomed Youth
Sono trascorsi ben 11 anni dall' ultimo album e i Libertines sembrano aver ancora le idee chiare.“Anthems For Doomed Youth” è un disco da ascoltare tutto d' un fiato, con quella Barbarians in partenza che scorre impetuosa e che lascia spazio ai deliri alcolici di Gunga Din. Si scivola poi tra una giocosa Fame & Fortune, una romantica ballata come You're My Waterloo, il rock' n' roll sfacciato di Belly of the Beast e quello da colpo al cuore di Heart of the Matter. A terminare il lavoro ci pensano brani capaci di emergere al primo ascolto (The Milkman's Horse, Glasgow Coma Scale Blues, Dead for Love). "Anthems For Doomed Youth” suona omogeneo, calibrato, grazie a una produzione attenta e funzionale, con chitarre, basso e batteria ad incendiare tutto.
Inaspettato | 8


Jenny Lysander - Northen Folk
Jenny ha solo 21 anni; e a 21 anni tirare fuori un disco del genere non è certo cosa da tutti. "Northen Folk" è fin dal titolo una dichiarazione d' intenti, e sembra uno di quei dischi dimenticati e poi riscoperti; un lavoro appartenete a un' epoca ormai lontana. Come era accaduto per "Lighthouse EP", è ancora la produzione di Piers Faccini a dare vita ad un disco la cui maturità lascia a tratti senza fiato. Canzoni delicate, ricche di sfumature soavi, capaci di trasportare l' ascoltatore lungo paesaggi in bilico tra sogno e nostalgia. La giovane cantautrice svedese dimostra classe, eleganza, autorevolezza, destreggiandosi con disarmane semplicità tra atmosfere folk e jazz. E così vengono fuori incantevoli ballate animate da un soffio di malinconia nordica, il tutto incorniciato da archi e fiati estremamente funzionali.
Seta | 8


Jono McCleery - Pagodes
La partenza è straziante: This Idea of Us dispiega atmosfere malinconiche, avvolgenti, che sul finire esplodono in un vortice in cui sono impiegati gli archi e tonnellate di tensione. E diventa inevitabile non pensare alla celebre Day is Done e a tutto ciò che circonda la musica di Nick Drake. Ma nelle corde di Jono McCleery ci sono anche Robert Wyatt, John Martyn, Terry Callier, James Blake, Fink, Chet Faker. Accade quindi che un brano acustico come Age of Self lasci spazio alle sfumature dub step di Since I e al soul marziano di Painted Blue. Ballade si muove ancora sulle coordinate di un soul intimo. Jono McCleery mette in piedi un disco riuscitissimo. Personale e raffinato. Affascinante e drammatico, capace di incasellare soul, folk, pop ed elettronica sotto un unico tetto, con loop e riverberi trattati in modo equilibrato. Ottimo anche il lavoro di produzione.
Malinconico | 8


Kristin McClement - The Wild Grips
Kristin McClement nasce in Sud Africa e nel corso dell’ adolescenza si trasferisce in Inghilterra insieme ai suoi genitori. Dopo una serie di demo ed EP, giunge oggi al suo vero primo album. Registrato per lo più in occasionali studi nelle campagne di Brighton, “The Wild Grips” mette in scena il talento della McClement. Si tratta di folk imbevuto di materia sognante. Canzoni impalpabili, che si aprono a soluzioni delicate e fascinose. La cantautrice di stanza in Inghilterra dimostra una grande padronanza dei propri mezzi costruendo una raccolta di brani che si adagiano tra melodie rarefatte e sensazioni spettrali. Un incantesimo sonoro a metà strada tra il lirismo oscuro di Matt Elliott e il fascino evanescente di Marissa Nadler. Doveroso l’ ascolto in assoluto silenzio.
Magia | 8


Lubomyr Melnyk - Rivers and Streams
"Rivers and Streams" è il secondo album per la Erased Tapes e giunge ad un anno di distanza da "Windmills". Provo sempre una certa difficoltà nel procurarmi parole che possano spiegare al meglio la magia espressa della musica del pianista ucraino. Sì, perché di magia si tratta. Uno stile unico quello di Melnyk. Un approccio accademico ma al tempo stesso viscerale, che si distacca totalmente dalla tradizionale composizione classica. In questo nuovo capitolo Melnyk ci conduce ancora una volta attraverso un fluire inarrestabile di note. 6 lunghe composizioni ispirate dal forte legame con l' acqua. Melnyk costruisce dense architetture liquide facendo uso di un arpeggio rapido, denso, cristallino. Arrivano a sostegno il flauto di Hyelim Kim e la chitarra di Jamie Perera. Il resto è qualcosa che molto somiglia alla mia idea di paradiso.
Divino | 9



Jim O' Rourke - Simple Songs
Stabilitosi definitivamente a Tokio, il polistrumentista americano torna dopo la trilogia ispirata al cinema di Nicolas Roeg con un disco il cui titolo è una chiara dichiarazione di intenti. "Simple Songs" non fa altro che aggiungere l' ennesimo tassello alla storia musicale di uno dei personaggi più affascinanti della scena alternativa americana. Tutto gira intorno a canzoni semplici, o per meglio dire: semplicemente belle; meticolose e arrangiate in modo superbo. Ci sono gli archi, le chitarre, i pianoforti, i fiati. O' Rourke ci mette il cuore, costruendo con sapienza una serie di composizioni capaci di spaziare tra folk rock, progressive e pop orchestrale.
Ispirato | 8.2


Jessica Pratt -  On Your Own Love
 Jessica Pratt si pone all’ attenzione di tutti grazie a un disco di una fragilità unica. La cantautrice californiana è cresciuta, maturata; e questo suo secondo capitolo ne è la conferma. Una voce di cristallo e una chitarra sognante, a cui si aggiungono suoni appena percettibili, contribuiscono a creare una miscela sonora diluita in riverberi e ambientazioni lo-fi. 30 minuti per 9 composizioni che annegano in una nebbia fitta. Jessica Pratt ci catapulta su un paesaggio lunare fatto di un folk impalpabile. Scarno, disarmante, “On Your Own Love Again” è un album ispiratissimo. Canzoni come Game That I Play, Strange Melody, Moon Dude, Jacquelyn in the Background, Back Baby non si scrivono per caso.
Fragile | 8


Protomartyr - The Agent Intellect
Rispetto al precedente "Under Color of Official Right" i Protomartyr sembrano aver trovato uno slancio maggiore. "The Agent Intellect" allenta un po' la morsa a favore di un andamento più circolare e meno furioso, mentre i toni si fanno spesso più riflessivi. I dodici pezzi in scaletta scorrono fluidi andando dritti al punto, con sferzate prorompenti e stacchi precisi. Le chitarre restano in primo piano; la batteria disegna ritmi tribali, il basso riempie il tutto di energia; la voce di Joe Casey è un' arma ben affilata. La formazione di Detroit sforna un terzo lavoro dove tutto funziona al meglio, testi compresi. Coward Starve, I Forgive You, Uncle Mother's, Why Does It Shake, Elene sono i momenti migliori. 
Robusto | 8


Slaves - Are You Satisfied?
Sono in due e arrivano dal Kent, Inghilterra. Isaac Holman (batteria e voce) e Laurie Vincent (chitarre e voce) scalano le classifiche inglesi entrando dalla porta principale della Virgin Records. "Are You Satisfied?" arriva dopo "Sugar Coated" del 2012, un mini-album contenente 9 brani per poco più di 20 minuti di musica. Siamo di fronte a un suono asciutto, poderoso e a brani immediati ma non per questo scontati. I due prendono il garage e il punk e gli costruiscono attorno una corazza pop dall' attitudine sarcastica. Il risultato è tutto concentrato in questi 13 brani infuocati.  Un sussulto vertiginoso tra fuoco, fiamme e tanta (auto)ironia. Da ascoltare e riascoltare senza mai stancarsi.
Soddisfatti? | 8


Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
Quella di Sufjan Stevens è un' opera di disarmante intimità. Rimasto in silenzio per quattro anni, il cantatore americano torna con un disco che sarà ricordato sicuramente come l' apice della sua carriera. "Carrie & Lowell" è quanto di più personale abbia mai pubblicato il nostro. Una collezione di canzoni acustiche totalmente incentrate sui ricordi. La morte della madre, avvenuta intorno al 2012, è la scintilla da cui scaturisce l' intero lavoro. Sufjan azzera tutto, imbraccia la chitarra e inizia ascrivere del suo dolore. Ne vengono fuori canzoni scarne, intime, amare. Undici racconti a luci soffuse, impregnati di una sensibilità che lascia senza fiato. Si tratta di un disco dolente, sussurrato. Un' esperienza umana in cui l' autore americano tenta l' impresa di scrivere canzoni che rimarranno per sempre. E alla fine ci riesce. 
Intimo | 8.2


Summer Fiction - Himalaya
Prodotto da B.C. Camplight e Joe Lambert, "Himalaya" offre una selezione di canzoni da sciogliere il cuore. Pop ricoperto di miele, per dirla in modo semplice. Succede in modo inatteso: On and On, Dirty Blonde, Perfume Paper, Lauren Lorraine, Genevieve, Religion of Mine, Be my Side, sono di una bellezza accecante. Si passa dai Beach Boys ai Beatles, dai Felt ai Belle and Sebastian. Il tutto sembra ripartire dal precedente lavoro. E così ancora una volta si sprigionano profumi inebrianti, melodie al limite tra sogni e nostalgia, arrangiamenti ariosi, armonie cariche di fascino, cori, controcanti. Tutto al servizio di una scrittura spontanea, sagace, che cattura al primo ascolto, forte di una produzione sempre equilibrata in cui tutto trova il giusto incastro. Splendida anche la copertina.
Colpo di fulmine | 8


Viet Cong - Viet Cong
 I ragazzi hanno le idee chiare: racchiudere in squarci kraut il post punk più oscuro e il garage più spasmodico. Un disco efficace e potente, rivestito di un suono severo e curato al dettaglio, con un' elettronica in espansione e bassi sferzanti. Non si fa in tempo a riprendersi dai sussulti poderosi dell' iniziale Newspaper Spoons che Pointless Experience mette in scena un suono metallico e obliquo. Ci sono poi le ritmiche aliene di March of Progress che sbocciano in una cantilena psichedelica che a sua volta si deforma e matura in melodie new wave; le atmosfere asfissianti delle spigolose Bunker Buster e Continental Shelf; il sound sagace di Silhouettes. Arrivano poi sul finale gli oltre 11 minuti di Death a scaraventarci in un labirinto impetuoso fatto di spasmi e ondate di atroce potenza.
Che furia! | 8


What Tyrants - No Luck
Questo dei What Tyrants è senza dubbio uno degli esordi dell' anno. A conferma arrivano una serie contagiosa di brani irresistibili. Sì, perché "No Luck" è un disco che vi farà ballare, sudare, divertire. Garage pop all' ennesima potenza, per farla breve. Loro sono in tre e arrivano da Minneapolis. Sean Schultz alla (chitarra e voce), il fratello Kyle (batteria) e Garrison Grouse (basso) giungono alla prima prova con un disco incandescente: 13 brani che a stento superano i 3 minuti. Trascinante, frizzante, al limite tra i primi Arctic Monkeys e "MCII" di Mikal Cronin, "No Luck" è uno di quei dischi che praticamente non difettano in nulla. L' unica pecca - se così vogliamo chiamarla - è che per ora il disco sembra essere solo disponibile in cassetta e in digitale.
Scintillante | 8


Ryley Walker - Primrose Green
Già nel primo disco l’ autore americano ci aveva regalato una serie di ottime composizioni con richiami a Bert Jansh e a certo folk di stampo britannico. In questo nuovo capitolo tutto prende una piega ancor più passionale, intrigante. Gli arrangiamenti si fanno corposi, soavi, con chitarre elettriche pronte a squarciare morbide trame acustiche. La scrittura è matura, fascinosa, ricca di soluzioni raffinate. La struttura dei brani diviene imprevedibile, sconfinando trasversalmente tra folk e jazz. Ryley costruisce un disco praticamente perfetto ad ogni passaggio, con un senso di libertà presente in ogni solco. Tutto brilla ed emoziona. Tutto suona romantico e avvolgente.”Primrose Green” è un disco che parla un linguaggio semplice, forte di una combinazione avvincente di canzoni vestite di oro e d’argento.  Un trionfo di classe ed eleganza. 
Sgargiante | 9


Chelsea Wolfe - Abyss
Registrato a Dallas, in Texas, con John Congleton in cabina di regia e la collaborazione di musicisti come Ben Chisholm, Dylan Fujioka, Ezra Buchla, e Mike Sullivan, "Abyss" segue il fortunato "Pain Is Beauty", 2013. Il percorso di Chelsea Wolfe giunge a compimento, e ciò che ne deriva è un album nero come la pece; un continuo sprofondare tra labirinti oscuri e sogni apocalittici. Gothic folk, post punk, noise, sludge metal si mescolano al cospetto di un suono metallico, glaciale. Album della maturità, dal quale si esce con cicatrici evidenti. Un lavoro che a detta dell' autrice si presenta come una sorta di viaggio trascendentale tra subconscio e materia sognante, in cui rumore e tensione spirituale trovano il giusto equilibrio. Stupefacente quanto ammaliante.
Non resta che inchinarsi dinanzi a tanta bellezza.
Lacerante | 9


Dal mondo

Mbongwana Star - From Kinshasa
Loro arrivano da Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, Africa, pianeta terra. Almeno così affermano. Ma il sottoscritto stenta a crederci, perché "From Kinshasa" sembra essere un disco che proviene direttamente da una galassia lontana. Roba di altri pianeti. Un' esplosione stellare di funky, disco, psichedelia, hip hop, punk, afro beat, elettronica che si tramuta un agglomerato di energia fatto di ritmi tribali e suoni visionari assemblati in modo esemplare. Il tutto si muove su ingranaggi precisi e ben collaudati. Il risultato è qualcosa di spiazzante, intenso, ipnotico, esaltante. Brani come Shégué,  Nganshé, Suzanna, Kimpala Pala sono materia complessa da maneggiare con cura estrema. Impossibile non rimanerne stregati al primo ascolto.
Alieni | 8 


L' esordio

Kamasi Washington - The Epic
L'esordio di Kamasi Washington è tutto spiegato nel titolo: "The Epic". E qui ci si potrebbe anche fermare, soprattutto perché un disco di questa portata si fa fatica a descriverlo con le parole. Siamo di fronte ad un' opera di 172 minuti di durata per diciassette brani in scaletta. Un lavoro diviso in tre sezioni (The Plan, The Glorious Tale, The Historic Repetition), suonato con una band di 10 elementi, con l' ausilio di un' orchestra formata da 32 e un coro di 20. Kamasi, classe 1981, mette in piedi un progetto ambizioso, le cui direttive sono quelle di racchiudere nella stessa galassia sonora funk, jazz, latina, fusion, ritmi africani. Non solo: Kamasi trova anche spazio per inserirci un certo sound tipico delle colonne sonore. Un lavoro imponente sotto tutti i punti di vista, curato in ogni minimo passaggio. Un  universo sonoro al servizio del mondo.
Colossale | 9


Made in Italy

Umberto Maria Giardini - Protestantesima 
L’impressione è quella di trovarsi faccia a faccia con un grandissimo disco. Di quelli che rimarrà negli anni. Quelle di Umberto sono canzoni bellissime, impegnative, ricche di visioni e sonorità luminescenti. Quel sapore malinconico e autunnale; quelle atmosfere urbane ma sognanti, a tratti cruente seppur delicate, sono il meccanismo principale sui cui Umberto costruisce una sapiente raccolta di brani capaci di approdare nel profondo. Canzoni come tele sui cui dipingere emozioni. In questo nuovo capitolo il cantautore italiano affina ancor di più la scrittura: il suono si fa ancor più robusto e cangiante; gli arrangiamenti, corposi e suadenti. Su tutto svetta quella classe compositiva che fa di Umberto Maria Giardini uno dei grandi autori italiani del nostro tempo.
Pregevole | 8




Singolare Bellezza