martedì 15 dicembre 2015

Il meglio del 2015

Ne abbiamo già parlato più volte: odio le classifiche. E non poco. Quella di creare una lista di fine anno è però un' operazione che affronto con molto piacere, soprattutto perché è sempre una buona occasione per poter recuperare ciò che ci è sfuggito. Anche quest'anno è stato stupefacente, almeno in termini musicali. Quella che trovate sotto è semplicemente la lista di alcuni dei miei album preferiti di questo 2015. Tutto rigorosamente in ordine alfabetico per autore. Sotto segue una raccolta di brani in ordine casuale, a cui allego una compilation di canzoni selezionate da youtube. Se vi va, lasciate pure la vostra lista nei commenti. Insomma, buona lettura e buon ascolto. 
E buona musica.


 Algiers - Algiers
L’irruenza del post punk, il fascino oscuro del blues, la sensualità del soul, la capacità evocativa del gospel, la potenza di certa musica tribale. Aggiungete, poi, una forte componente politica (il nome fa riferimento alla guerra d’indipendenza algerina) e il gioco è fatto. Il tutto nasce quando Ryan Mahan e Lee Tesche, due musicisti della scena post punk, incrociano sulla loro strada Franklin James Fisher, un cantante di colore cresciuto praticamente a pane e gospel. Ciò che ne viene fuori è una fusione brutale, che sa di dolore. Birthday Party, Bad Seeds, New Order, Tv on the Radio, Angela Davis, Suicide, Public Enemy, sono tutti invitati alla cerimonia messa in scena dai tre musicisti. Il risultato è un disco magnetico, glorioso.
Sensazionale | 8


Courtney Barnett - Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit
Courtney Barnet ha 27 anni, arriva dall'  Australia e si pone di prepotenza come uno dei personaggi dell' anno. La questione gira tutta intorno a canzoni semplici e irresistibili, molte delle quali si presentano sotto forma di racconti autobiografici. Pop abrasivo e brillante, fatto di sfuriate fuzz e un certo approccio lo-fi. Dalla partenza spedita di Elevator Operator al power pop di Pedestrian At Best, passando per la sensuale An Illustration of Loneliness, il blues spaziale di Small Poppies, il glam rock micidiale di Aqua Profunda! e tante altre cose bellissime come Nobody Really Cares If You Dont e Kim's Caravan. Courtney disegna il suo mondo sul pentagramma. E il risultato è un disco da cui si fa fatica a staccarsi. Per non parlare poi della versione deluxe. Trovarci qualcosa fuori posto è praticamente impossibile. 
Crea dipendenza | 8.2


Andrew Combs - All These Dreams
Un primo EP nel 2010, seguito a distanza di due anni da un primo vero album. Ora, giunto al terzo appuntamento, il giovane di Nashville mette tutte le carte in tavola. Siamo di fronte ad uno di quei dischi belli proprio perché semplici, efficaci, composto da 11 canzoni capaci di conquistare al primo ascolto. Brani ricamati di dolcezza e malinconia. Combs ci mette il cuore, piazzando una serie di ballate passionali e avvolgenti, e si fa apprezzare per una scrittura cristallina e sempre accorta. Quasi non sbaglia nulla il giovane texano: Rainy Day Song, Nothing to Lose, Foolin, Pearl, All These Dreams, Month of Bad Habits sono praticamente irresistibili. Andrew ha confezionato un disco bello dall’ inizio alla fine.
Limpido | 8


Father John Misty - I Love You, Honeybear
Una voce malinconica, profonda. Una cura per gli arrangiamenti meticolosa, attenta. Johs Tillman è tornato finalmente col suo secondo album a nome Father John Misty. “I Love You, Honeybear” è l' opera di un autore maturo, consapevole delle proprie energie. Le composizioni sono sempre brillanti, con aperture melodiche incantevoli; canzoni che stanno a metà strada tra il John Grant di “Queen Of Denmark” e il Johnathan Wilson di “Fanfare”. “I Love You Honeybear” mette in evidenza una sensibilità pop mescolata a un folk intimista. C’è poi un pizzico di gospel sparso qua e là. Una scrittura attenta e struggente, quella di Tillman, capace di non risultare mai troppo smielata. L’ impressione è quella di trovarsi di fronte ad un album che ci porteremo dietro per anni.
Toccante | 8.5


Bill Fay - Who Is The Sender?
L' inizio è da pelle d'oca: The Geese Are Flying Westward manda in frantumi il cuore in pochi secondi. Segue War Machine, un brano tanto intenso da far mancare il fiato. Poi arriva How Little e lo stomaco si contrae dal dolore. È chiaro che quello che ci troviamo davanti non è un semplice disco, ma un vero inno alla bellezza; e Underneath The Sun ne è la piena conferma. È il pianoforte l' elemento su cui Bill tesse una trama di canzoni che parlano all' anima; brani che si attaccano alla pelle fin da subito. Avvolgente, intimo, "Who Is The Sender?", grazie ad arrangiamenti orchestrali efficaci e ambiziosi, si presenta come il lavoro più curato dell' artista londinese. 54 minuti di assoluto splendore per un disco su cui brilla l' insegna capolavoro.
Disarmante | 9


Robert Forster - Songs To Play
Lo avevamo lasciato con "The Evangelist", che giungeva nei negozi di dischi a poco tempo di distanza dalla scomparsa dell' amico di avventure Grant McLennan. Nei sette anni che separano i due lavori, Forster ha scritto libri e si è occupato persino di critica musicale. Una volta tornato a vivere nel Queensland, riprende in mano la chitarra per occuparsi di quello che gli riesce meglio: scrivere bellissime canzoni. In "Songs To Play" ne troviamo dieci, una meglio dell' altra. L' ex Go-Betweens non tradisce le aspettative e dà vita a un lavoro tanto bello da creare dipendenza, capace di incollare l' ascoltatore alla sedia grazie a una scrittura sagace, costituita da una brillante ossatura pop dal tiro micidiale.
Brillante | 8


Jacco Gardner - Hypnophobia
 Stando ai fatti, Jacco è ormai tra gli autori più importanti di questi ultimi anni. La conferma arriva da un disco praticamente bellissimo. In "Hypnophobia" convivono trasversalmente ancora una volta lo spirito malinconico di Nick Drake, quello psichedelico di Syd Barrett e quello dinamico dei Beatles. Tutto il disco è un flusso immagnifico di suggestioni sofisticate; un susseguirsi di armonie multiformi e ritmi che esplodono in mille colori. Quello di Gardner è un songwriting onirico, frizzante. È pop barocco distillato in una sequenza vorticosa di brani ricchi di arrangiamenti esemplari (tamburi, flauto, clarinetto, organo e clavicembalo, optigan, mellotron).  Da restarne stregati al primo ascolto.
Seducente | 8


Girls Names - Arms Around A Vision
 Se il primo album mostrava un suono più orientato verso un noise pop tagliente, il secondo lavoro vedeva la band impegnata nei territori di un post punk affabile, forte di alcuni momenti davvero convincenti. In "Arms Around a Vision" le atmosfere si tingono invece di una new wave spigolosa che non disdegna una tipica psichedelia di stampo shoegaze. E il risultato questa volta e da applausi. Brani come Retience, Oscilattions e Chrome Rose sono roba pregiata. A Hunger ArtistDysmorphia. Una scrittura che non rinuncia alla melodia, forte di ritmiche sostenute, bassi corposi, chitarre ben affilate e tastiere astratte. Ma ciò che davvero colpisce è la naturalezza con cui la band irlandese riesce nuovamente a cambiare pelle senza perdere colpi. 
Centro pieno | 8


Julia Holter - Have You In My Wilderness
Quelle di Julia Holter sono canzoni di cristallo forgiate da mani sapienti, forti di un linguaggio unico e personale. “Have You In My Wilderness” arriva a 3 anni di distanza dal disco precedente e si presenta in tutta la sua bellezza, vantando un suono tanto fragile che a tratti sembra scivolarci tra le mani. Quelle ritmiche quasi sempre abbozzate e quella sensazione di eterna leggerezza, si specchiano in arpeggi morbidi accomodati su tessuti astrali. Un lavoro articolato, fatto di arrangiamenti ariosi che vedono tra l' altro l' impiego di contrabbasso, clavicembali, sax e pianoforti. Il risultato è tutto un susseguirsi di brani che si muovono su equilibri sottili e melodie vaporose. Un oceano in calma apparente attraversato da folk, pop, jazz, elettronica.
Puro incanto | 8.5


Icarus Line - All Things Under Heaven
La musica degli Icarus Line è regolata da un tasso di violenza sonora capace di lasciare segni evidenti. Joe Cardamone spinge la band verso i territori del post hard-core. Il risultato è ancora una volta qualcosa al limite tra Grinderman, Stooges, Swans e una fiammata azzurra pronta a radere al suolo tutto ciò che incontra. Dodici bordate di elevata potenza per 72 minuti di coltellate che si conficcano dritte al cranio. Un agglomerato di chitarre come lame di rasoio, guidate da ritmi apocalittici dove non mancano alcuni innesti gospel, funk, dilatazioni blues e acrobazie noise che contribuiscono a creare un senso di tensione continua. Difficile indicare il momento migliore di un disco che viaggia come le più spericolate montagne russe.  
Vertigini | 8


Libertines - Anthems for Doomed Youth
Sono trascorsi ben 11 anni dall' ultimo album e i Libertines sembrano aver ancora le idee chiare.“Anthems For Doomed Youth” è un disco da ascoltare tutto d' un fiato, con quella Barbarians in partenza che scorre impetuosa e che lascia spazio ai deliri alcolici di Gunga Din. Si scivola poi tra una giocosa Fame & Fortune, una romantica ballata come You're My Waterloo, il rock' n' roll sfacciato di Belly of the Beast e quello da colpo al cuore di Heart of the Matter. A terminare il lavoro ci pensano brani capaci di emergere al primo ascolto (The Milkman's Horse, Glasgow Coma Scale Blues, Dead for Love). "Anthems For Doomed Youth” suona omogeneo, calibrato, grazie a una produzione attenta e funzionale, con chitarre, basso e batteria ad incendiare tutto.
Inaspettato | 8


Jenny Lysander - Northen Folk
Jenny ha solo 21 anni; e a 21 anni tirare fuori un disco del genere non è certo cosa da tutti. "Northen Folk" è fin dal titolo una dichiarazione d' intenti, e sembra uno di quei dischi dimenticati e poi riscoperti; un lavoro appartenete a un' epoca ormai lontana. Come era accaduto per "Lighthouse EP", è ancora la produzione di Piers Faccini a dare vita ad un disco la cui maturità lascia a tratti senza fiato. Canzoni delicate, ricche di sfumature soavi, capaci di trasportare l' ascoltatore lungo paesaggi in bilico tra sogno e nostalgia. La giovane cantautrice svedese dimostra classe, eleganza, autorevolezza, destreggiandosi con disarmane semplicità tra atmosfere folk e jazz. E così vengono fuori incantevoli ballate animate da un soffio di malinconia nordica, il tutto incorniciato da archi e fiati estremamente funzionali.
Seta | 8


Jono McCleery - Pagodes
La partenza è straziante: This Idea of Us dispiega atmosfere malinconiche, avvolgenti, che sul finire esplodono in un vortice in cui sono impiegati gli archi e tonnellate di tensione. E diventa inevitabile non pensare alla celebre Day is Done e a tutto ciò che circonda la musica di Nick Drake. Ma nelle corde di Jono McCleery ci sono anche Robert Wyatt, John Martyn, Terry Callier, James Blake, Fink, Chet Faker. Accade quindi che un brano acustico come Age of Self lasci spazio alle sfumature dub step di Since I e al soul marziano di Painted Blue. Ballade si muove ancora sulle coordinate di un soul intimo. Jono McCleery mette in piedi un disco riuscitissimo. Personale e raffinato. Affascinante e drammatico, capace di incasellare soul, folk, pop ed elettronica sotto un unico tetto, con loop e riverberi trattati in modo equilibrato. Ottimo anche il lavoro di produzione.
Malinconico | 8


Kristin McClement - The Wild Grips
Kristin McClement nasce in Sud Africa e nel corso dell’ adolescenza si trasferisce in Inghilterra insieme ai suoi genitori. Dopo una serie di demo ed EP, giunge oggi al suo vero primo album. Registrato per lo più in occasionali studi nelle campagne di Brighton, “The Wild Grips” mette in scena il talento della McClement. Si tratta di folk imbevuto di materia sognante. Canzoni impalpabili, che si aprono a soluzioni delicate e fascinose. La cantautrice di stanza in Inghilterra dimostra una grande padronanza dei propri mezzi costruendo una raccolta di brani che si adagiano tra melodie rarefatte e sensazioni spettrali. Un incantesimo sonoro a metà strada tra il lirismo oscuro di Matt Elliott e il fascino evanescente di Marissa Nadler. Doveroso l’ ascolto in assoluto silenzio.
Magia | 8


Lubomyr Melnyk - Rivers and Streams
"Rivers and Streams" è il secondo album per la Erased Tapes e giunge ad un anno di distanza da "Windmills". Provo sempre una certa difficoltà nel procurarmi parole che possano spiegare al meglio la magia espressa della musica del pianista ucraino. Sì, perché di magia si tratta. Uno stile unico quello di Melnyk. Un approccio accademico ma al tempo stesso viscerale, che si distacca totalmente dalla tradizionale composizione classica. In questo nuovo capitolo Melnyk ci conduce ancora una volta attraverso un fluire inarrestabile di note. 6 lunghe composizioni ispirate dal forte legame con l' acqua. Melnyk costruisce dense architetture liquide facendo uso di un arpeggio rapido, denso, cristallino. Arrivano a sostegno il flauto di Hyelim Kim e la chitarra di Jamie Perera. Il resto è qualcosa che molto somiglia alla mia idea di paradiso.
Divino | 9



Jim O' Rourke - Simple Songs
Stabilitosi definitivamente a Tokio, il polistrumentista americano torna dopo la trilogia ispirata al cinema di Nicolas Roeg con un disco il cui titolo è una chiara dichiarazione di intenti. "Simple Songs" non fa altro che aggiungere l' ennesimo tassello alla storia musicale di uno dei personaggi più affascinanti della scena alternativa americana. Tutto gira intorno a canzoni semplici, o per meglio dire: semplicemente belle; meticolose e arrangiate in modo superbo. Ci sono gli archi, le chitarre, i pianoforti, i fiati. O' Rourke ci mette il cuore, costruendo con sapienza una serie di composizioni capaci di spaziare tra folk rock, progressive e pop orchestrale.
Ispirato | 8.2


Jessica Pratt -  On Your Own Love
 Jessica Pratt si pone all’ attenzione di tutti grazie a un disco di una fragilità unica. La cantautrice californiana è cresciuta, maturata; e questo suo secondo capitolo ne è la conferma. Una voce di cristallo e una chitarra sognante, a cui si aggiungono suoni appena percettibili, contribuiscono a creare una miscela sonora diluita in riverberi e ambientazioni lo-fi. 30 minuti per 9 composizioni che annegano in una nebbia fitta. Jessica Pratt ci catapulta su un paesaggio lunare fatto di un folk impalpabile. Scarno, disarmante, “On Your Own Love Again” è un album ispiratissimo. Canzoni come Game That I Play, Strange Melody, Moon Dude, Jacquelyn in the Background, Back Baby non si scrivono per caso.
Fragile | 8


Protomartyr - The Agent Intellect
Rispetto al precedente "Under Color of Official Right" i Protomartyr sembrano aver trovato uno slancio maggiore. "The Agent Intellect" allenta un po' la morsa a favore di un andamento più circolare e meno furioso, mentre i toni si fanno spesso più riflessivi. I dodici pezzi in scaletta scorrono fluidi andando dritti al punto, con sferzate prorompenti e stacchi precisi. Le chitarre restano in primo piano; la batteria disegna ritmi tribali, il basso riempie il tutto di energia; la voce di Joe Casey è un' arma ben affilata. La formazione di Detroit sforna un terzo lavoro dove tutto funziona al meglio, testi compresi. Coward Starve, I Forgive You, Uncle Mother's, Why Does It Shake, Elene sono i momenti migliori. 
Robusto | 8


Slaves - Are You Satisfied?
Sono in due e arrivano dal Kent, Inghilterra. Isaac Holman (batteria e voce) e Laurie Vincent (chitarre e voce) scalano le classifiche inglesi entrando dalla porta principale della Virgin Records. "Are You Satisfied?" arriva dopo "Sugar Coated" del 2012, un mini-album contenente 9 brani per poco più di 20 minuti di musica. Siamo di fronte a un suono asciutto, poderoso e a brani immediati ma non per questo scontati. I due prendono il garage e il punk e gli costruiscono attorno una corazza pop dall' attitudine sarcastica. Il risultato è tutto concentrato in questi 13 brani infuocati.  Un sussulto vertiginoso tra fuoco, fiamme e tanta (auto)ironia. Da ascoltare e riascoltare senza mai stancarsi.
Soddisfatti? | 8


Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
Quella di Sufjan Stevens è un' opera di disarmante intimità. Rimasto in silenzio per quattro anni, il cantatore americano torna con un disco che sarà ricordato sicuramente come l' apice della sua carriera. "Carrie & Lowell" è quanto di più personale abbia mai pubblicato il nostro. Una collezione di canzoni acustiche totalmente incentrate sui ricordi. La morte della madre, avvenuta intorno al 2012, è la scintilla da cui scaturisce l' intero lavoro. Sufjan azzera tutto, imbraccia la chitarra e inizia ascrivere del suo dolore. Ne vengono fuori canzoni scarne, intime, amare. Undici racconti a luci soffuse, impregnati di una sensibilità che lascia senza fiato. Si tratta di un disco dolente, sussurrato. Un' esperienza umana in cui l' autore americano tenta l' impresa di scrivere canzoni che rimarranno per sempre. E alla fine ci riesce. 
Intimo | 8.2


Summer Fiction - Himalaya
Prodotto da B.C. Camplight e Joe Lambert, "Himalaya" offre una selezione di canzoni da sciogliere il cuore. Pop ricoperto di miele, per dirla in modo semplice. Succede in modo inatteso: On and On, Dirty Blonde, Perfume Paper, Lauren Lorraine, Genevieve, Religion of Mine, Be my Side, sono di una bellezza accecante. Si passa dai Beach Boys ai Beatles, dai Felt ai Belle and Sebastian. Il tutto sembra ripartire dal precedente lavoro. E così ancora una volta si sprigionano profumi inebrianti, melodie al limite tra sogni e nostalgia, arrangiamenti ariosi, armonie cariche di fascino, cori, controcanti. Tutto al servizio di una scrittura spontanea, sagace, che cattura al primo ascolto, forte di una produzione sempre equilibrata in cui tutto trova il giusto incastro. Splendida anche la copertina.
Colpo di fulmine | 8


Viet Cong - Viet Cong
 I ragazzi hanno le idee chiare: racchiudere in squarci kraut il post punk più oscuro e il garage più spasmodico. Un disco efficace e potente, rivestito di un suono severo e curato al dettaglio, con un' elettronica in espansione e bassi sferzanti. Non si fa in tempo a riprendersi dai sussulti poderosi dell' iniziale Newspaper Spoons che Pointless Experience mette in scena un suono metallico e obliquo. Ci sono poi le ritmiche aliene di March of Progress che sbocciano in una cantilena psichedelica che a sua volta si deforma e matura in melodie new wave; le atmosfere asfissianti delle spigolose Bunker Buster e Continental Shelf; il sound sagace di Silhouettes. Arrivano poi sul finale gli oltre 11 minuti di Death a scaraventarci in un labirinto impetuoso fatto di spasmi e ondate di atroce potenza.
Che furia! | 8


What Tyrants - No Luck
Questo dei What Tyrants è senza dubbio uno degli esordi dell' anno. A conferma arrivano una serie contagiosa di brani irresistibili. Sì, perché "No Luck" è un disco che vi farà ballare, sudare, divertire. Garage pop all' ennesima potenza, per farla breve. Loro sono in tre e arrivano da Minneapolis. Sean Schultz alla (chitarra e voce), il fratello Kyle (batteria) e Garrison Grouse (basso) giungono alla prima prova con un disco incandescente: 13 brani che a stento superano i 3 minuti. Trascinante, frizzante, al limite tra i primi Arctic Monkeys e "MCII" di Mikal Cronin, "No Luck" è uno di quei dischi che praticamente non difettano in nulla. L' unica pecca - se così vogliamo chiamarla - è che per ora il disco sembra essere solo disponibile in cassetta e in digitale.
Scintillante | 8


Ryley Walker - Primrose Green
Già nel primo disco l’ autore americano ci aveva regalato una serie di ottime composizioni con richiami a Bert Jansh e a certo folk di stampo britannico. In questo nuovo capitolo tutto prende una piega ancor più passionale, intrigante. Gli arrangiamenti si fanno corposi, soavi, con chitarre elettriche pronte a squarciare morbide trame acustiche. La scrittura è matura, fascinosa, ricca di soluzioni raffinate. La struttura dei brani diviene imprevedibile, sconfinando trasversalmente tra folk e jazz. Ryley costruisce un disco praticamente perfetto ad ogni passaggio, con un senso di libertà presente in ogni solco. Tutto brilla ed emoziona. Tutto suona romantico e avvolgente.”Primrose Green” è un disco che parla un linguaggio semplice, forte di una combinazione avvincente di canzoni vestite di oro e d’argento.  Un trionfo di classe ed eleganza. 
Sgargiante | 9


Chelsea Wolfe - Abyss
Registrato a Dallas, in Texas, con John Congleton in cabina di regia e la collaborazione di musicisti come Ben Chisholm, Dylan Fujioka, Ezra Buchla, e Mike Sullivan, "Abyss" segue il fortunato "Pain Is Beauty", 2013. Il percorso di Chelsea Wolfe giunge a compimento, e ciò che ne deriva è un album nero come la pece; un continuo sprofondare tra labirinti oscuri e sogni apocalittici. Gothic folk, post punk, noise, sludge metal si mescolano al cospetto di un suono metallico, glaciale. Album della maturità, dal quale si esce con cicatrici evidenti. Un lavoro che a detta dell' autrice si presenta come una sorta di viaggio trascendentale tra subconscio e materia sognante, in cui rumore e tensione spirituale trovano il giusto equilibrio. Stupefacente quanto ammaliante.
Non resta che inchinarsi dinanzi a tanta bellezza.
Lacerante | 9


Dal mondo

Mbongwana Star - From Kinshasa
Loro arrivano da Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, Africa, pianeta terra. Almeno così affermano. Ma il sottoscritto stenta a crederci, perché "From Kinshasa" sembra essere un disco che proviene direttamente da una galassia lontana. Roba di altri pianeti. Un' esplosione stellare di funky, disco, psichedelia, hip hop, punk, afro beat, elettronica che si tramuta un agglomerato di energia fatto di ritmi tribali e suoni visionari assemblati in modo esemplare. Il tutto si muove su ingranaggi precisi e ben collaudati. Il risultato è qualcosa di spiazzante, intenso, ipnotico, esaltante. Brani come Shégué,  Nganshé, Suzanna, Kimpala Pala sono materia complessa da maneggiare con cura estrema. Impossibile non rimanerne stregati al primo ascolto.
Alieni | 8 


L' esordio

Kamasi Washington - The Epic
L'esordio di Kamasi Washington è tutto spiegato nel titolo: "The Epic". E qui ci si potrebbe anche fermare, soprattutto perché un disco di questa portata si fa fatica a descriverlo con le parole. Siamo di fronte ad un' opera di 172 minuti di durata per diciassette brani in scaletta. Un lavoro diviso in tre sezioni (The Plan, The Glorious Tale, The Historic Repetition), suonato con una band di 10 elementi, con l' ausilio di un' orchestra formata da 32 e un coro di 20. Kamasi, classe 1981, mette in piedi un progetto ambizioso, le cui direttive sono quelle di racchiudere nella stessa galassia sonora funk, jazz, latina, fusion, ritmi africani. Non solo: Kamasi trova anche spazio per inserirci un certo sound tipico delle colonne sonore. Un lavoro imponente sotto tutti i punti di vista, curato in ogni minimo passaggio. Un  universo sonoro al servizio del mondo.
Colossale | 9


Made in Italy

Umberto Maria Giardini - Protestantesima 
L’impressione è quella di trovarsi faccia a faccia con un grandissimo disco. Di quelli che rimarrà negli anni. Quelle di Umberto sono canzoni bellissime, impegnative, ricche di visioni e sonorità luminescenti. Quel sapore malinconico e autunnale; quelle atmosfere urbane ma sognanti, a tratti cruente seppur delicate, sono il meccanismo principale sui cui Umberto costruisce una sapiente raccolta di brani capaci di approdare nel profondo. Canzoni come tele sui cui dipingere emozioni. In questo nuovo capitolo il cantautore italiano affina ancor di più la scrittura: il suono si fa ancor più robusto e cangiante; gli arrangiamenti, corposi e suadenti. Su tutto svetta quella classe compositiva che fa di Umberto Maria Giardini uno dei grandi autori italiani del nostro tempo.
Pregevole | 8




Singolare Bellezza







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