martedì 3 novembre 2015

Jono McCleery - Pagodes


















Novembre sembra essere il mese migliore per iniziare a stilare la solita classifica di fine anno. Il terzo album di Jono McCleery è arrivato nei negozi già da qualche settimana e si appresta a mettere in discussione tale classifica; almeno nel mio caso. La partenza è straziante: This Idea of Us dispiega atmosfere malinconiche, avvolgenti, che sul finire esplodono in un vortice in cui sono impiegati gli archi e tonnellate di tensione. E diventa inevitabile non pensare alla celebre Day is Done e a tutto ciò che circonda la musica di Nick Drake. Ma nelle corde di Jono McCleery ci sono anche Robert Wyatt, John Martyn, Terry Callier, James Blake, Fink, Chet Faker. Accade quindi che un brano acustico come Age of Self lasci spazio alle sfumature dub step di Since I e al soul marziano di Painted Blue. Ballade si muove ancora sulle coordinate di un soul intimo, aggiungendo un' efficacia ritmica sostenuta da chitarre in lontananza e un pianoforte che sembra interrompersi per poi ripartire ogni volta. Clarity è gospel spaziale, mentre Halfway è un onirico r&b che annega tra tastiere e archi possenti. In Bet She Does Jono decide di spogliarsi di tutto per presentarsi solo voce e chitarra, mentre in  Fire in My Hands si accomoda al pianoforte per una ballata celestiale. Desperate Measure e Pardon Me non aggiungono tanto, ma il finale di So Long è di quelli che lascia il segno. Jono McCleery mette in piedi un disco riuscitissimo. Personale e raffinato. Affascinante e drammatico; capace di incasellare soul, folk, pop ed elettronica sotto un unico tetto, con loop e riverberi trattati in modo equilibrato. Ottimo anche il lavoro di produzione.

Malinconico  | 8



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