Dalle finestre della casa in cui sono cresciuto si poteva scorgere l’impianto siderurgico dell’ Italsider di Bagnoli. Agli occhi di un bambino quel gigantesco stabilimento sembrava essere un immenso parco giochi. Agli occhi degli adulti, invece, era una vera e propria fabbrica del veleno. Avrò avuto intorno agli 8 anni quando sentii per la prima volta pronunciare quel termine: amianto. Quella parola iniziò a girare tra le bocche della gente come se si trattasse di un virus. L’amianto divenne sinonimo di veleno. Un pericolo. Era il 1992 quando l’ Italsider di Bagnoli veniva ufficialmente chiuso portando ad una forte caduta dei posti di lavoro nell’intera zona flegrea. Ma questa è un’ altra storia. Dismissione era il termine che iniziò a girare tra gli abitanti come una speranza futura (ahimé, anche questa è un’altra storia). “Dismissione” è anche il titolo con il quale i Pane ci presentano il loro quarto lavoro da studio, dedicato proprio alla problematica dell’amianto. Nati nei primi anni ’90 dall’incontro tra Claudio Orlandi (voce) e Maurizio Polsinelli (pianoforte), il progetto romano si arricchisce successivamente della presenza di Vito Andrea Arcomano (chitarra), Claudio Madaudo (flauto traverso) e di Ivan Macera (batteria), mettendo appunto una personale identità musicale, che oggi li vede come una delle formazioni italiane più interessanti degli ultimi anni. Dopo lo strepitoso “Orsa Maggiore” (vedi recensione ed intervista a Claudio Orlandi), la formazione dei Pane torna oggi con un lavoro ancor più complesso e viscerale: “Dismissione” è opera che concentra in sé le qualità artistiche già espresse nei precedenti lavori, e si presenta come un esperimento di fusione tra poesia e musica. È la collaborazione con l’artista romano Fabio Orecchini a dare vita ad un lavoro affascinante quanto difficile. “Questo lavoro scava sottoterra. È pensato e costruito nel solco di un'idea, un corpo di esperienze autentiche. La resurrezione è un obbligo, una necessità storica. Abbiamo dato la dolcezza ai vermi, l'anima all'Orsa, ora un uomo può vivere" - Claudio Orlandi.
Sei tracce in cui la musica dei Pane e i testi di Fabio Orecchini s’intrecciano in una progressione multiforme di sensazioni onirico-asfissianti: Bocche, Madame Eternit, Acqua Nella Pancia, Laminare, Balene, Tuo Figlio, esplodono inquiete attraverso una miscela musicale di jazz, prog e folk. Il piano, il flauto, le chitarre, le percussioni, tessono le trame di un tappeto sonoro abrasivo, ma prettamente acustico, abbracciando la possente voce di Claudio Orlandi (il vero punto focale dell’opera), che s’innalza in un furibondo e disperato canto melodico-drammatico. Un flusso musicale travolgente in cui le parole di Fabio Orecchini sgorgano dalla bocca del cantante romano come lame acuminate: “Madama Eternit sorseggia un caffè in cucina/mio padre che fuma e indurisce ancora/come grezza materia estrattiva/mia madre la scava coi denti/lo respira”
“Pochi minuti forse un’ ora/la trave cede/ e non c’è nulla che possa fermare/la [ri]produzione dell’ovvio/l’abitudine al male”
“Stacco la spina/l’Enel che perde un vecchio cliente/si gela è mattina/germinata diossina”.
Il disco è accompagnato da un libro, che vede non solo i testi di Orecchini, ma anche una splendida prefazione di Stefano Solventi e Gabriele Frasca.
Sarebbe alquanto riduttivo definirlo un semplice disco.
Sei tracce in cui la musica dei Pane e i testi di Fabio Orecchini s’intrecciano in una progressione multiforme di sensazioni onirico-asfissianti: Bocche, Madame Eternit, Acqua Nella Pancia, Laminare, Balene, Tuo Figlio, esplodono inquiete attraverso una miscela musicale di jazz, prog e folk. Il piano, il flauto, le chitarre, le percussioni, tessono le trame di un tappeto sonoro abrasivo, ma prettamente acustico, abbracciando la possente voce di Claudio Orlandi (il vero punto focale dell’opera), che s’innalza in un furibondo e disperato canto melodico-drammatico. Un flusso musicale travolgente in cui le parole di Fabio Orecchini sgorgano dalla bocca del cantante romano come lame acuminate: “Madama Eternit sorseggia un caffè in cucina/mio padre che fuma e indurisce ancora/come grezza materia estrattiva/mia madre la scava coi denti/lo respira”
“Pochi minuti forse un’ ora/la trave cede/ e non c’è nulla che possa fermare/la [ri]produzione dell’ovvio/l’abitudine al male”
“Stacco la spina/l’Enel che perde un vecchio cliente/si gela è mattina/germinata diossina”.
Il disco è accompagnato da un libro, che vede non solo i testi di Orecchini, ma anche una splendida prefazione di Stefano Solventi e Gabriele Frasca.
Sarebbe alquanto riduttivo definirlo un semplice disco.
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