giovedì 12 marzo 2015

Steven Wilson - Hand. Cannot. Erase.


















Nel 2006 il corpo di una giovane donna inglese fu ritrovato senza vita nel suo appartamento di Londra. I medici attestarono che il cadavere era rimasto lì per ben tre anni. In quei tre anni nessuno tra gli amici e i parenti si rese mai conto dell’ assenza della giovane donna. Il suo nome era  Joyce Carol Vincent. A lei è dedicato questo album. 
"In una grande città, in mezzo a milioni di persone, in realtà siamo invisibili". Questa affermazione potrebbe essere la chiave di lettura dell' intero disco, il quarto da solista per Steven Wilson. È il film-documentario "Dreams of a Life", diretto da Carol Morley, che cerca di ricostruire la vicenda della giovane donna, ad ispirare “Hand. Cannot. Erase”. Abbiamo tra le mani un lavoro complesso, ambizioso; scritto da una prospettiva al femminile e ambientato in un paesaggio urbano. Wilson sceglie di narrare la storia con un approccio musicale variegato: prog, pop, elettronica, metal si mescolano in un crescendo emozionale. Un vero caleidoscopio sonoro capace di fondere in modo inequivocabile passato e presente. Ecco riemergere dal passato atmosfere che riportano alla mente i virtuosismi di formazioni leggendarie come Genesis, Emerson Lake & Palmer, King Crimson, Rush, Pink Floyd. Rispetto al lavoro precedente i brani assumono atmosfere differenti, alternandosi anche nella durata; fatta eccezione per 3 Years Older, Routine e Ancestral, il resto delle tracce si mantiene tra i 2 e i  6 minuti. Nostalgia, felicità, rabbia, sono le componenti principali dell’ intero concept.“Hand. Cannot. Erase” è un album denso, vigoroso, e conferma ancora una volta le doti compositive dell’ artista inglese, che anche per questo capitolo decide di farsi affiancare da musicisti del calibro di Marco Minneman e Guthrie Govan. 

Brillante | 7.8



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